1.
New York. Ore 7 del
mattino, Ora della Costa Orientale. Il Capitano degli U.S.
Marines Elizabeth Mary Mace si sveglia, puntuale come se avesse un orologio
incorporato ed in effetti, è proprio così. Anni di vita militare l’hanno
abituata a svegliarsi molto prima di quest’ora, ma in questo momento, può
anche accettare di aver dormito tanto. La sua trasferta newyorkese si sta
prolungando più di quanto avesse previsto, ma non poteva non accettare il
caso. La Tigre Volante è un criminale, non c’è dubbio, ma, a quanto sembra,
è anche un supersoldato ed un membro della famiglia Rogers, la stessa
dell’originale Capitan America. Di certo il Contrammiraglio comandante del
J.A.G.[3]
non poteva saperlo, ne poteva sapere che lei è la nipote del terzo
Capitan America e sorella dell’attuale. Certo, non poteva saperlo, allora
perché proprio lei è stata assegnata a questo caso? Pura e semplice
coincidenza? Sembra molto difficile da credere. Sono tutte cose da
approfondire.
Mentre riflette, si è già
spogliata, è entrata nella doccia ed ha lasciato che l’acqua calda le
scivolasse lungo il corpo avvolgendola nel suo confortevole abbraccio. Ora
la sua mente vaga su altri pensieri, ad esempio sul fatto che è da troppo
tempo che pensa troppo al lavoro e poco alla vita privata, anzi, a dirla
tutta, lei non ha una vita privata. Da quanto tempo è che non esce con un
uomo? E non parliamo poi di….All’improvviso, fa un salto all’indietro. Che
diavolo succede? La saponetta ha tentato di morderla? Deve avere le
allucinazioni. No, è proprio così. La saponetta si è animata. Lizzie non
perde tempo a farsi domande sul perché. Afferra lo spazzolone del water e
lo usa come clava contro la saponetta, che si agita sul pavimento del bagno
tentando di morderla. Continua a colpirla finché, ridotto ad una poltiglia
di sapone, l’oggetto cessa di muoversi.
Questa città è matta, pensa la
ragazza.
Brooklyn Heights, Brooklyn, New York. Ore 8:30. Jeff Mace termina la solita ricca
colazione, offerta dalla sempre premurosa Anna Kapplebaum.
-Beh Jeff, hai spazzolato
tutte le frittelle, vedo.- commenta l’anziana signora.
-E nonostante tutto,
è sempre snello. Nessun filo di grasso, solo muscoli.- aggiunge un’altra
commensale: l’avvocatessa Bernadette Rosenthal. -Ah, che invidia!-
-Faccio solo un po’
di ginnastica.- si schermisce Jeff, evitando di dire che la ginnastica la
fa nei panni di Capitan America.
-Un bel ragazzo come
te non dovrebbe faticare a trovarsi la ragazza credo. Magari quella bionda
appariscente con cui ti ho visto qualche volta?-
-Anna!- esclama
Bernie –Sono affari suoi, dopotutto.-
-Hai ragione Bernie,
scusa Jeff, sono troppo impicciona, lo ammetto.-
Jeff sorride benevolmente.
-Oh, non importa.-
risponde –Non sono certo offeso. Comunque, Joy Mercado è solo una collega.-
Anche se certi pensieri ti
vengono inevitabilmente in mente quando sei con lei, pensa Jeff. Buffo,
però, a pensarci bene, è da molto che non frequenta una ragazza in quel
senso, da quando ha lasciato Boston, a dire il vero. Beh, c’è stata quella
specie d’appuntamento con Spirito Libero, ma quello non ha niente a che
fare con Jeff Mace, dopotutto.
-Ora scusatemi
signore, ma devo andare al lavoro.-
-Ti capisco, anch’io
devo andare in ufficio.- interviene Bernie -Grazie della colazione Anna.-
-Di nulla.
Ricordatevi che, se siete liberi, stasera a cena faccio l’agnello.-
I due escono dall’edificio
d’arenaria e corrono verso la fermata della metropolitana
-Anna è una cara
donna…- commenta,Bernie -… ma a volte è un po’ troppo chioccia,-
-Mi ricorda un po’
una nonna.- risponde Jeff –Ma è piacevole averla intorno. Ha una notevole
forza d’animo. È stata in un lager da bambina, vero?-
-Si. Non riesco
nemmeno a comprendere cosa possa essere stato per lei. Sembra averlo
superato, ma chi può saperlo realmente?-
Arrivano alla metropolitana e prendono
il treno diretto a Manhattan. Passano pochi minuti, poi un altro treno
arriva, i passeggeri salgono, le porte si chiudono dietro di loro. Un
passeggero arriva all’ultimo minuto, sbuffa, si avvicina ad una macchinetta
distributrice di bibite, inserisce le monetine, poi attende ed
improvvisamente la macchina gli sputa letteralmente addosso decine di
spiccioli, poi comincia a bombardarlo con le lattine. Dura solo un attimo,
poi l’uomo è a terra svenuto. La macchinetta si ferma ed il vano da cui
escono le bottiglie sembra quasi assumere la forma di un sorriso.
Harlem, Manhattan, New York. Ore
9:01. Sam Wilson apre
l’ufficio come ogni mattina. Il suo primo pensiero è che è una giornata
insolitamente calda, forse troppo. Si siede alla scrivania e guarda la pila
di carte accumulate. Reprime a fatica l’impulso di gettare tutto per aria e
sospira. Comincia col dare un’occhiata all’agenda. A volte si chiede perché
abbia scelto questo lavoro. La risposta viene facile, è stata l’influenza
di suo padre, il compianto Reverendo Paul Wilson. Per lui dedicarsi agli
altri era più che una missione, era una cosa naturale. Ed ha allevato i
suoi tre figli nella via della rettitudine. Non gli è servito a granché,
però la gratitudine dei suoi simili non ha risparmiato a lui ed a sua
moglie una brutta morte per mano degli stessi a cui lui la mano l’avrebbe
stesa in segno d’aiuto. Un bel fesso no? Se si vuol vivere senza problemi,
bisogna pensare solo a se stessi. Ma cosa gli viene in mente? Non sono
pensieri da lui questi, sono piuttosto i pensieri di… non vuole nemmeno
pensarci.
Sam si alza in piedi ed apre la
finestra, un po’ d’aria gli farà bene, pensa.
2.
Manhattan, New York, Daily Bugle Building, ore 9:50. Jeff Mace entra nella
sede della rivista Now, per cui lavora, e la trova un po’ più caotica del
solito. Un gruppetto di giornalisti ed impiegati è fermo ad osservare lo
spettacolo di Joy Mercado, che è china alla fontanella dell’acqua. Jeff
sorride, poi, d’improvviso, accade qualcosa. Dal distributore d’acqua uno
scroscio colpisce il volto di Joy con violenza, proiettandola all’indietro
e facendola finire proprio su Jeff, che, trascinato dall’impatto, piomba a
terra
-Ma che razza di
§@#*ç!- esclama Joy con un linguaggio che la madre di Jeff non
giudicherebbe mai adatto ad una signora. –Che hai tu da ridere come un
ebete?- sbotta, rivolto a Jeff
-Beh, nulla,
nulla….- replica Jeff –In effetti non c’è nulla di comico nell’avere il tuo
sedere a due centimetri da mio naso…o si?-
-Mmm, forse hai
ragione, sono troppo scorbutica.- dice Joy rialzandosi –Ma questo cavolo di
distributore mi ha….mi ha…sputato addosso.-
-Santo cielo,
proclamate la festa nazionale. Joy Mercado ha appena ammesso di essere
scorbutica.-
Il commento viene da Gordon
Clay, un altro dei giornalisti di Now
-Tu bada a come
parli, Clay, scribacchino da quattro soldi.- lo apostrofa Joy, visibilmente
irritata –Ti credi un giornalista, ma sei buono solo a rovistare nella
spazzatura altrui. Scoperto qualche altro figlio segreto, ultimamente?-[4]
-Beh io, almeno,
me le sono sudate le mie ricerche. Non come te, la grande cronista
d’attualità. Lo sappiamo tutti come ottieni i servizi migliori e le
informazioni confidenziali, basta guardare come vai in giro vesti…-
Gordon Clay non fa in tempo a
finire la frase, che un diretto lo coglie al mento, facendolo volare sul
pavimento.
-Così impari a
tenere la bocca chiusa razza di bastardo…- ruggisce inviperita Joy e fa per
accompagnare le sue parole, con un calcio alle parti basse di Clay, quando
la mano di Jeff Mace la blocca
-Lascia perdere
Joy, non ne vale la pena.- dice il giovane
-Bada ai fatti
tuoi, tu!- replica la ragazza, poi, incontrando gli occhi grigi del
ragazzo, si calma –Oh, hai ragione, dopotutto, non ne vale la pena…anche
se, credo che una scossa ai suoi gioielli di famiglia gli avrebbe fatto
solo bene.-
Un vero campione di ostilità,
pensa Jeff, e non è la sola, c’è da chiedersi se, anche a Manhattan, può
essere considerato normale.
-Ah!-
L’urlo li prende di sorpresa ed
entrambi si girano, per vedere una giovane impiegata ritrarre la mano da
una macchinetta distributrice di bibite, la mano è sporca di sangue.
-Questa maledetta
mi ha morso!- strilla la ragazza –Vi dico che l’ha fatto. Guardate!- ed agita
la mano su cui sono visibili i segni dei denti.
Decisamente non è una giornata
normale, pensa Jeff. Prima del tramonto, giudicherà quest’osservazione il
miglior eufemismo dell’anno.
O.N.U. New York, Palazzo
del Quartier Generale dello S.H.I.E.L.D. Ore 10:45.
Nella palestra della più grande ed efficiente Agenzia di controspionaggio e
pronto intervento del mondo, il Comandante Sharon Carter, vestita in
perfetta tenuta da karateka, con tanto di cintura nera, sfoga tutta la sua
ostilità repressa contro una tavoletta di legno, che spezza in due con un
solo calcio. Le sue qualità fisiche sono decisamente al top, ma lo stesso
non può dirsi del suo stato d’animo. A dir la verità, nemmeno lei sa perché
è così agitata. Da quando è tornata in servizio attivo nello S.H.I.E.L.D.
le cose non potrebbero andare meglio. Nick Fury conosce le sue abilità ed
ultimamente l’ha destinata ad incarichi di responsabilità. Cavoli, però,
lei è una donna d’azione e tutta la burocrazia… No! Non è veramente questo
deve ammetterlo. È la sua situazione personale a pesarle. Situazione
personale? Ah che beffa! Perfino Valentina Allegro De La Fontaine, col suo
nome lungo un chilometro e la sua alterigia da nobile europea, ha una vita
sentimentale e sessuale più ricca della sua. Sin da quando può ricordare,
Sharon sente di essere stata solo la ragazzina infatuata di Capitan
America. Ora dovrebbe essere cresciuta, aver superato da tempo la fase
delle cotte, allora perché continua a pensare a lui? Al maledetto Steve
Rogers? Non doveva morire così,[5] senza che le
cose tra loro fossero chiarite o, forse, lo erano state. Non lo aveva,
forse, respinto una volta per tutte, per gettarlo tra le braccia di quella
Connie Ferrari? Era stata lei a rinunciare a lui e non il contrario e,
allora, perché si sente come una scarpa vecchia? A complicare tutto, ci si
era messo quel nuovo Capitan America. Era diverso da Steve, questo è certo,
più timido, meno sicuro di se, eppure, guardandolo, non poteva non pensare
a Steve. Stesso idealismo, stessa solidità, stessa… No, ferma con questi
pensieri, quel ragazzo avrà almeno 10 anni più di te, è praticamente un
lattante e tu sei una donna dura ed autosufficiente. Non hai bisogno di
nessun uomo che ti giri intorno, basti a te stessa, non è vero? Non è vero?
Sharon sente l’impulso di
piangere, lo reprime e colpisce con tutta la sua forza un’altra tavoletta.
Tribunale Federale di
Manhattan. Ore 11:15. Elizabeth Mace ascolta in silenzio la
testimonianza di uno degli agenti che stanno ricostruendo la carriera della
Tigre Volante, formula due obiezioni, una accolta e l’altra respinta e non
riesce a togliersi quel cerchio alla testa che sente da quando è entrata
nell’aula.Se solo la smettessero di parlare, non riesce nemmeno a sentire i
suoi stessi pensieri. Vorrebbe che tutti stessero zitti, anzi, li farebbe
volentieri tutti a pezzi, se potesse, loro col loro stupido orgoglio
maschile ed i loro pregiudizi sulle donne, loro che… ma cosa sta pensando?
Il mal di testa deve farla sragionare.
Nascosta tra le nubi, c’è una
navicella ed un paio d’occhi fissano un visore con l’immagine del palazzo
del Tribunale.
-Il momento è
quasi arrivato.- dice una voce fredda –Ho atteso anche troppo, ma la mia
pazienza è stata ripagata, preparatevi ad agire, al mio segnale.
Sopra il cielo di New York
cominciano ad addensarsi nubi nere e minacciose.
3.
Harlem, Manhattan, New York. Ore 11:57. Sam Wilson
ne ha abbastanza. Con un gesto improvviso, manda all’aria le carte che ha
sul tavolo e si alza esclamando a voce sin troppo alta:
-Basta! Sono
stanco di ascoltare le vostre lamentele. Stanco dei vostri noiosissimi
racconti su quanto siete sfortunati. Imparate a cavarvela da soli, siete
troppo cresciuti per chiedere l’aiuto della mamma ed io sono troppo furbo
per farvi da balia.-
Senza dire altro, Sam esce
dall’ufficio, sbattendosi la porta alle spalle. I due giovani seduti alla
scrivania lo guardano perplessi. Jody Casper, nipote ed assistente di Sam
li guarda ed allarga le braccia.
-Scusatelo…-
riesce a dire -… è sotto stress ultimamente. Tornate più tardi, anzi,
tornate domani. Io, intanto, parlerò con lui.-
Detto questo, Jody congeda i due malcapitati
e, chiuso l’ufficio, corre dietro allo zio. Lo trova sul tetto, che sta
terminando di togliersi i vestiti, sotto cui c’è il costume di Falcon.
-Zio Sam, stai
bene? Cosa ti succede?- Gli chiede
-Impicciati degli
affari tuoi, ragazzino e lasciami in pace.- replica l’altro con voce dura
–Quegli idioti, coi loro piagnistei su questa dura società, mi avevano
stufato. Ora penso che me ne andrò in giro a spaccare qualche testa di
criminale.- si ferma un attimo, poi, il suo volto si distende –Scusa Jody,
non so che mi è preso, per parlare così. Forse è solo stress ed un giro di
pattuglia mi aiuterà a schiarirmi le idee.-
Mentre Falcon spicca il volo,
Jody si ritrova a pensare che il comportamento di suo zio gli ricorda
qualcosa, qualcosa che sperava di non rivedere mai più, ma perché sta
succedendo?
Greenwich Village, Manhattan, New York, Ore: 13. La
risposta alla domanda di Jody Casper si trova non molto lontano da lì e,
precisamente, in uno strano edificio al numero 177/A di Bleecker Street,
nel pittoresco West Village. È qui che la diabolica Darklady ha sopraffatto
il Dottor Strange, Mago Supremo della Terra e la sua compagna, Clea ed è
sempre qui che, con la complicità dell’ambiziosa Grace Cross, si sta
preparando a liberare orde di demoni, su tutto il mondo, grazie alla Cappa
delle Ombre ed ai cinque Amuleti del Potere. In pochi attimi, l’incantesimo
è completato e dal portale così aperto, le creature del male invadono il
nostro povero pianeta [6]
Tribunale
Federale di Manhattan. Ore 13:05. Il Giudice
Chalmers congeda il testimone, poi si rivolge al Vice Procuratore degli
Stati Uniti:
-Mr. Kemp, il suo
prossimo testimone deve parlare a lungo?-
-Beh, si, Vostro
Onore. Si tratta di una testimonianza molto rilevante e…-
-Molto bene.-
taglia corto Chalmers –Allora faremo una pausa per il pranzo e riprenderemo
alle 15.-
In quel momento, una parete
s’infrange ed un nugolo di uomini armati in uniforme scura, entra dallo
squarcio, grazie a dei Jetpack. Dietro di loro, in piedi su una mini
piattaforma volante, sta una donna. Indossa una versione femminilizzata del
tradizionale costume del Barone Zemo, scollato sul davanti e sgambato; le
gambe coperte da quelle che sembrano calze a rete, una mascherina viola a
coprire la metà superiore del volto. Punta sui presenti un’arma che i più
attenti, come Lizzie Mace, riconoscono come la pistola disintegratrice del
primo[7] Barone Zemo.
-Sono la
Baronessa!- proclama la donna –E sono qui per liberare i miei alleati
L’Incappucciata e Tigre Volante!-
Maledetta città, pensa il Giudice
Chalmers. Non puoi celebrare un processo in pace, senza che qualche idiota
in costume si faccia vedere a rovinare tutto Chalmers si sente invadere da
una rabbia sorda, Il rancore, il risentimento provati quando dei fanatici
anti mutanti gli bruciarono la casa,[8] l’amarezza e la frustrazione per la
morte del suo vecchio amico Bolivar Trask[9] e del di lui figlio Larry,[10] vite preziose,
consumate da un odio cieco ed irrazionale, tutte queste emozioni
trovano sfogo in uno scatto
improvviso e del tutto fuori luogo, per l’abituale compostezza del
personaggio.
-BASTA!- urla,
scagliando il martelletto contro la sedicente Baronessa e si precipita ad
afferrare l’arma del Deputy Marshal accanto a lui –Fuori dal mio
Tribunale!-
Con calma, la Baronessa gli
punta addosso l’arma e spara, abbattendolo
-Sei fortunato
che è tarata su forza non letale…per adesso.- replica la donna
Mentre accadevano questi fatti,
l’uomo che ha detto di chiamarsi Michael Walter Rogers e che è conosciuto
come Tigre Volante si è mosso, afferrando Lizzie da dietro ed
immobilizzandole le braccia.
-Mi spiace far
questo ad una bella donna, capitano.- le dice –Ma è un’occasione troppo
ghiotta per lasciarsela scappare, mi capisce, vero?-
-Giù le mani da
me, porco!- sbotta Lizzie e, con una mossa repentina, lo fa volare sopra la
sua testa, L’uomo reagisce istintivamente alla sorpresa e riesce ad
atterrare sui piedi.
-Ehi, che
caratterino. Adoro le donne di
polso.- esclama
Nel frattempo, gi uomini della
Baronessa si sono avvicinati al banco della difesa. Dallas Riordan non
parla, si morde le labbra e, quando
il primo sgherro la tocca, gli sferra un calcio nelle parti basse, poi
sferra un colpo di taglio allo sterno di un secondo.
-Se mi volete,
dovrete sudarvela.- dice, con voce tagliente
Emerson Bale osserva con aria
stupita la performance della giovane donna. Ma allora, pensa, con queste
doti di combattente, può essere davvero l’Incappucciata, oppure no? Il suo
socio sembra assolutamente sicuro del contrario, che, invece, sia stata
ipnotizzata per farglielo credere. Ma come fa ad esserne così certo? Cosa
sa e, soprattutto, che segreti ha? C’è un legame tra lui e la ragazza dai
capelli rossi che entrambi difendono e di cui nessuno di loro due vuol
parlare, anche se l’ostilità di Dallas per lui è evidente. Ed eccolo, John
Watkins, in apparenza un avvocato inglese di mezza età, ma senza un filo di
pancia ed un fisico atletico, un uomo che sembra sul punto di scattare da
un istante all’altro verso gli uomini che lo minacciano. Bale ha avuto a
che fare con i superumani sin da quando ha scoperto che l’unico figlio ed
erede del suo migliore amico Warren Kenneth Worthington Jr. era, in realtà,
il mutante di nome Angelo, oggi noto come Arcangelo, ma non crede che si
abituerà mai a queste follie.
Nel frattempo, la misteriosa
Baronessa si è avvicinata a Dallas Riordan.
-Immaginavo che
avrei dovuto provvedere da sola.- afferma risoluta e punta la sua pistola
verso la donna, che si volta a guardarla.
-Tu!- esclama
Dallas –Io ti conosco, lo so chi sei.-
-Che sorpresa
eh?- ribatte la Baronessa sparando. Il colpo prende Dallas in pieno petto,
spedendola contro un muro.
-Dallas!- esclama
John Watkins e si lancia verso di lei, ma viene fermato da due degli
sgherri della Baronessa.
-Sbrigatevi!-
intima quest’ultima –Prendete la donna e portatela nella nostra navicella.
Quanto a te, Tigre Volante…. Questa è una replica esatta del tuo costume.
Sbrigati ad indossarlo, non ci resta più molto tempo, ormai.-
-Grazie….ehm…Baronessa, giusto?- risponde
l’uomo, infilandosi il costume, poi esclama: -Temo che avremo qualche
piccolo imprevisto.- ed indica fuori dallo squarcio nella parete. Una
miriade di esseri volanti si stanno precipitando verso di loro, provenienti
dalla zona dell’Empire State Building.
-E quelli che
cosa sono?- esclama, sorpresa, la Baronessa.
-Non vorrei
sembrare una vecchietta superstiziosa…- risponde istintivamente, la Tigre
Volante -….ma a me sembrano proprio demoni.-
Il che è esattamente quello che
sono.
4.
Manhattan, New York. Ore 14. In
un noto locale per studenti nei pressi dell’Empire State University. Jeff
Mace sta cercando di rilassarsi in compagnia di Joy Mercado.
-E così tu segui
il corso di giornalismo qui eh?- sta dicendo la ragazza
-Beh si.-
risponde lui, chiedendosi perché lei abbia accettato di venire proprio qui.
Jeff è persuaso che Joy non lo degni di uno sguardo, mentre lui, invece,
deve ammettere che il tipo di pensieri che ha su di lei non hanno niente a
che fare con la castità, anzi, diciamolo pure, sono di tipo piuttosto
spinto. Jeff sarebbe sorpreso di sapere che Joy sta facendo identiche
valutazioni su di lui e si chiede se non sia il caso di essere più
esplicita, quel ragazzo è, di certo, più giovane di lei di almeno sette od
otto anni, ma è decisamente carino, però è un tale imbranato e potrebbe non
fare mai la prima mossa. Chissà se è ancora vergine? Potrebbe essere
divertente scoprirlo.
Ignaro di questi pensieri e,
decisamente non del tutto esperto di certe sfumature della cosiddetta
“comunicazione non verbale”, Jeff continua la sua spiegazione
-Mi sono laureato
ad Harvard, primo del corso di Scienze Politiche. Mio padre avrebbe voluto
che m’iscrivessi alla Scuola di Legge, ma io volevo venire a New York e
lavorare in un giornale, come mio nonno, così ho optato per il Corso di
Giornalismo dell’E.S.U. Se riesco a mantenere il ritmo attuale, arriverò al
Master entro….-
Le sua parole sono interrotte da
un grido improvviso. Una delle cameriere sembra impazzita. Ha preso uno dei
coltellacci della cucina e sta minacciando altri del personale
-Vi uccido, vi
uccido tutti, sporchi bastardi!-
Ma che succede oggi? Pensa Jeff,
ma non ha ancora visto niente
-Joy, dobbiamo
fare qualcosa.- esclama Jeff
Si, certo. C’è un
bel fatto di cronaca e noi siamo proprio sul posto. Dove ho messo la
fotocamera digitale?-
Jeff è sorpreso dal cinismo di
Joy, ma non ha tempo per pensarci, con un balzo è al bancone ed ha
afferrato il polso della ragazza
-Mi dia
quell’arnese miss…- le intima con voce gentile.
-Te lo do in
pancia, brutto figlio di….-
-Per favore,
lasciamo stare le mamme!- ribatte lui. Con una torsione del polso, la
costringe a lasciare il coltello e, con una lieve pressione su un certo
nervo del collo, la fa svenire.
-Complimenti
Mace, non ti facevo così svelto. – dice Joy –Fai palestra immagino.-
-Diciamo che mi
tengo in forma, quando posso.- si schermisce lui.
-Lo vedo e che
altri talenti hai? Che ne dici se lo scopriamo a casa mia?-
-Joy!-
-Che c’è? Non ti
piaccio forse? Mi sembra impossibile… o appartieni, per caso… all’altra
parrocchia?-
Jeff avvampa. Perché, pensa, non
c’è mai un supercriminale in giro quando te ne serve uno? Joy sembra aver
perso ogni freno inibitorio e lui, beh, sta cominciando a chiedersi:
“Perché no?” Dove sta scritto che l’eroe non si può divertire ogni tanto?
La rettitudine e la moralità sono, spesso, troppo noiose. Ok se è questo
che lei vuole, diamoglielo ed al diavolo tutto quanto.
Jeff la stringe a se, incurante
degli altri avventori del locale, le loro labbra stanno per toccarsi…
Ed ecco che due demoni irrompono
nel locale, sfasciando la porta ed avventandosi sui presenti. Jeff quasi
impreca tra se. Davvero un pessimo tempismo, ha questa gente, chiunque, o
meglio, qualunque cosa siano., perché, Jeff ne è certo, non sono umani.
Sente puzza di zolfo e non solo metaforicamente. Dal profondo della sua
educazione religiosa non ha dubbi: sono davvero demoni. Certo, forse non
del tipo che il Papa od anche il Reverendo Cotton Mather avrebbero indicato
come tali,[11] ma non ci
possono essere dubbi. Cosa si può fare contro simili creature? La sola cosa
che gli hanno insegnato: combattere, mai arrendersi, mai! Uno dei demoni colpisce Jeff, sbattendolo
lontano, poi, afferra Joy e la solleva fin sulle sue spalle.
-Ehi, mettimi giù
maledetto.- urla la ragazza, mentre il demone ride selvaggiamente.
Quando Jeff si riprende, Joy è
scomparsa, mentre altri demoni stanno mettendo a ferro il locale. Nella
confusione generale, nessuno bada a lui e Jeff afferra la sua cartella,
posata accanto al tavolo dov’erano seduti lui e Joy. Un demone gli si para
davanti e lui lo colpisce al plesso solare con la cartella, il demone cade
all’indietro, sbatte contro un tavolo e, con un “pop” si disintegra. Bene,
pensa Jeff, non sono invincibili come sembrano. Ora bisogna agire.
Senza perdere tempo, si infila
nel bagno e, in pochi istanti, si libera degli abiti, li riprenderà dopo,
se ci sarà un dopo. In breve, eccolo nei panni di Capitan America, il
fedele scudo in mano, pronto all’azione. Nella confusione generale, pensa,
nessuno baderà da dove arrivo, pensa e la situazione che trova gli da
ragione. La sua prima priorità, pensa, è aiutare questa gente. Trovare Joy,
spera, sarà più facile, dopotutto, dove vuoi che un demone porti una bella
ragazza? Personalmente, pensa, in assenza di un materasso, andrebbe bene
anche un prato fiorito. Ehi, attento, certi pensieri non sia addicono ad un
eroe idolo delle famiglie, o no? I demoni sono resistenti, cero, ma Cap
scopre rapidamente che come combattenti non valgono quasi niente.
Incredibile come basti colpirli abbastanza forte e si dissolvano
facilmente. Forse, pensa il ragazzo, in questo piano dell’esistenza la loro
forma non si è ancora consolidata, non ha ancora raggiunto il giusto grado
di stabilità. Oh, al diavolo, ci penserà in un altro momento, ora deve solo
batterli e ci riesce, alla fine, per ritrovarsi all’aperto e….
Che diavolo è successo al sole?
Quella specie di cono d’ombra sembra estendersi sull’intera città ed oltre
ed il cielo si va riempiendo di demoni. A quanto pare, è in atto una crisi
molto seria. Ritrovare Joy, non gli sembra improvvisamente, così facile.
Harlem, Manhattan, New York. Ore 14:30. Terry Michael può dirsi soddisfatto,
il suo piccolo commercio al solito angolo è andato benissimo, anzi, i
clienti sembrano, addirittura raddoppiati. Ha finito quasi tutte le sue
dosi ed il suo capo sarà felice di come ha smistato parecchi clienti alla
nuova Crack House
-Terry, non si può e che
tu sia cambiato molto. A scuola rubavi le merendine ed ora vendi veleno,
sei proprio un cattivo ragazzo.-
-Fa…Falcon? Cosa
vuoi da me, io non ti ho fatto nulla fratello.-
-Non chiamarmi fratello, lurido verme. Io e te
abbiamo in comune il colore della pelle e nient’altro. Io lotto per tenere
pulito il quartiere e tu lo appesti con la tua robaccia
-Non mi faccio intimidire da te servo dei bianchi.-
Terry estrae una rivoltella, ma Falcon è più svelto di lui e lo disarma.
-Sporco bastardo.- lo apostrofa afferrandolo per il
bavero –Non ti permetterò di continuare a fare il tuo sporco lavoro, mi
senti? Non te lo permetterò!-
Falcon
cominci a picchiare lo spacciatore, sempre di più, sempre più forte, pugno
dopo pugno, incurante dei suoi lamenti, dei suoi “Basta”. All’improvviso si
ferma, osserva l’uomo, ormai svenuto ai suoi piedi.
-Dio Mio cos’ho fatto? Non posso essere
stato io.- grida
Certo
che si, idiota, gli sussurra una voce interiore, non essere una mammoletta,
Sam Wilson, il mondo non è delle vittime, ma di coloro che sanno farsi
valere e porci come questo hanno solo quel che si meritano e non è finita
qui, vero?
Un’espressione
maligna si dipinge sul volto di Falcon, l’espressione di una rabbia
repressa e violenta.
-Certo che no!- risponde a se stesso. -È
solo cominciata.-
Complesso
O.N.U. New York, Palazzo del Quartier Generale dello S.H.I.E.L.D. Ore 15. Sharon ha
visto molte cose strane nella sua vita, ma questa le batte tutte. Demoni,
si tratta proprio di demoni ed hanno preso d’assalto il complesso
S.H.I.E.L.D. come se non bastassero i guai che hanno colpito questo posto
di recente,[12] ora arrivano anche i demoni. Sharon
non è mai stata una praticante devota, e questo è sempre stato il cruccio
dei suoi genitori, autentici pilastri della comunità I Carter della
Virginia hanno una tradizione da rispettare, diceva sempre sua madre,
devono dare l’esempio. Bene, se frequentasse ancora la chiesa, almeno
saprebbe cosa fare. Non ci sono molte croci o acquasantiere qui, da usare.
E saranno efficaci, poi? Non è l’unico problema, inoltre. Molti agenti
hanno cominciato a comportarsi in modo strano, come se un’epidemia di
follia si fosse improvvisamente diffusa. Vecchi rancori, sentimenti
repressi, ogni freno inibitore rimosso in un mix esplosivo. Lei stessa deve
ammettere di sentirsi strana, come se, sensazioni da lungo tempo sepolte dentro
di lei cercassero di farsi strada lungo sentieri da tempo dimenticati.
Questi
pensieri la distraggono abbastanza da permettere ad un demone di saltarle
addosso
-Sei mia sciocca mortale!- sibila
-Non contarci troppo!- replica Sharon e lo colpisce con
una ginocchiata all’inguine. Il demone, sogghigna:
-Questo doveva farmi male?- chiede
irridendola
Oh
Mio Dio, no! Si mette male. Non fare che succeda, Signore, sarò buona lo
prometto, lo giuro, ma non voglio che mi facciano del male. Sharon chiude
gli occhi, mentre gli artigli del demone, cominciano a strapparle la tuta
ed a penetrare le sue carni.
Eliveicolo
dello S.H.I.E.L.D. Ore 21 GMT.[13]
Nel ponte di comando, Nick Fury contempla su uno schermo
gigante la devastazione che, ormai, dilaga in New York. Che diavolo può
fare lui per mettere a posto le cose? Per quanto ne sa, i soliti
volenterosi benefattori in costume si stanno già dando da fare e se lui
mandasse giù delle truppe, sarebbero influenzate da… qualunque cosa sia
quello che sta succedendo. Nick odia
sentirsi così impotente è sempre stato un uomo d’azione, vorrebbe poter
fare qualcosa. Non ha mai permesso a niente e nessuno di imbrigliarlo, mai,
tranne una volta. Ci pensa ancora. Quando i Presidenti dei cinque paesi
membri permanenti dell’O.N.U. gli trasmisero l’ordine di attivare la bomba
al betatrone. Nick ha conosciuto gli orrori della guerra, ha visto i
risultati delle bombe su Hiroshima e Nagasaki, gli effetti dei defolianti e
del napalm sui villaggi vietnamiti, sa che la guerra è una cosa sporca, ma
uno dovrebbe combatterla con un minimo d’onore, questo lo capiva bene anche
un misero figlio del West Side come lui. Avrebbe dovuto mandarli tutti a
quel paese. Avrebbe dovuto farlo, invece aveva pensato alle immagini viste
nei viaggi di George Raven nella mente dei Marziani ed aveva lasciato che
la vista degli orrori influenzasse il suo giudizio. Era stato facile, in
fondo. I Marziani non erano nemmeno umanoidi, erano totalmente alieni ed
era un tipico caso di uccidere od essere uccisi. Semplice, eppure, un conto
è uccidere dei soldati nemici ed un altro sterminare un’intera razza
senziente. Come essere sicuri che fossero tutti colpevoli? Tutti affamati
di carne umana? Ha preso una decisione, la rimpiangerà per tutta la sua
vita. Ora, però, rimpiange di non poter essere di sotto e, forse, dovrebbe
esserci.
Manhattan, New York. Ore 16. Capitan America si muove agilmente
di tetto in tetto, continuando la sua ricerca. Ha perso minuti preziosi,
prima ed ora non riesce a trovare le tracce di Joy Mercado. Non aveva
scelta, doveva aiutare quella gente. Ora, però, Joy può essere dovunque. La
cappa d’ombre è sempre più estesa, ormai è quasi buio dappertutto, come se
fosse tarda sera. Un gruppo di demoni lo assale e lui se ne sbarazza
facilmente. A quanto pare, finché questi esseri hanno una consistenza
fisica, sono in qualche grado, vulnerabili. È una cosa da tenere presente.
Forse dovrebbe rivolgersi ai Vendicatori, o, almeno, trovare Falcon o
Rogers, loro sapranno cosa fare, lui non ne è affatto sicuro. Sarà una
giornata d’Inferno, pensa con amara ed involontaria ironia, e non sarà,
forse, l’unica
Lee
Academy, Connecticut. Ore 18:30. Ora della Costa Orientale.
È stata una giornata difficile, pensa il Professor Steve Rogers,
mentre colpisce e getta dalla finestra l’ennesimo demone. Si guarda
attorno. L’aula, come il resto della scuola, sembra il terreno di un
bombardamento ai tempi della guerra. Il suo piano resiste, ma il resto del
complesso scolastico è preda dei demoni e, dove non sono arrivati loro,
sono accadute altre cose: studenti ed insegnanti sembrano aver ceduto al
loro lato oscuro, alcuni si sono uniti ai demoni nel saccheggio e nella
violenza, altri hanno visto il mostro dentro di loro e non ne hanno
sopportato la vista, cedendo alla follia o al suicidio. Steve guarda i suoi
alunni, rannicchiati in un angolo, gli sguardi terrorizzati o persi nel
vuoto. Non sa ancora come o quando, ma giura che li porterà fuori di lì sani
e salvi.
Boston,
Massachussetts, Ore 19:10. Ora della Costa Orientale. Dorothy Mace è barricata in casa,
seduta sul letto, mentre l’innaturale oscurità sembra diventare sempre più
fitta. Da ore tenta di chiamare i suoi figli: Lizzie, Jeff , Robyn, Nessuno
di loro risponde. Cosa sarà accaduto loro? Jeff, ne è certa, sarà in giro
per New York nei panni di Capitan America e starà affrontando quegli
orribili demoni e quelle persone impazzite o, forse, Dio non voglia è
ferito, o, peggio, morto da qualche parte, forse lo sono tutti. Tutti!
Dorothy maledice il marito per aver convinto il loro unico figlio maschio a
seguire, quell’assurda idea. Gli Stati Uniti ed il Mondo hanno bisogno di
Capitan America e, se uno cade, un altro deve essere pronto a prendere il
suo posto. Balle, non c’era bisogno di fare una scemenza simile. Il mondo
sarebbe andato avanti lo stesso, come aveva sempre fatto e lei avrebbe
avuto suo figlio. Sente di odiare il marito come non ha mai odiato nessuno
ed ora sa cosa farà quando tornerà a casa. L'ucciderà, ecco cosa farà.
FINE
PARTE PRIMA
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